Lo vidi una mattina carica d’umidità. Mi fissò con occhi fieri e severi come se mi volesse far abbassare lo sguardo e addomesticarmi.
Io ero in auto e lui per strada.
Ne rimasi colpita certa, però, che non l’avrei mai più incontrato. E, invece, una settimana dopo era di nuovo lì a scrutarmi. Stesso posto, stesso incrocio.
Io in auto, lui per strada.
Ma questa volta c’era il sole e lui allegro e pieno di vita. Incontrare il suo sguardo fu piacevole; questo sebbene io a un tipo come lui non mi sarei mai sognata, dico mai sognata di dare spago. Eppure quella sua gioia di vivere qualcosa aveva prodotto in me.
Il giorno dopo ero lì che lo cercavo in mezzo alla gente, colta da un desiderio antico e lo confesso, assai seducente, di essere addomesticata. Io, proprio io, che sempre professavo la mia ostinata volontà di essere libera, libera da tutti e tutto, soprattutto da legami di questo tipo. Eppure, lo ammetto, lui aveva qualcosa che mi attraeva.
Lui se ne rese conto e iniziò a studiare da dove venissi. Me ne accorsi perché faceva su e giù per quell’incrocio cercandomi.
Questo mi spaventò, moltissimo.
Iniziai a cambiare strada, a evitare l’incrocio, lui e quel suo sguardo trappola. Fino a quando, una mattina, me lo trovai davanti al portone di casa.
Panico!
Non potevo, proprio non potevo, non così.
L’ignorai. Gli passai accanto facendo come se non esistesse. Lui ci rimase male, lo vidi con la coda dell’occhio. Voltò le spalle ed andò via.
La mattina dopo, però, lui era di nuovo davanti casa. Era lì, muto, a osservarmi mentre uscivo.
Ancora una volta lo ignorai. Ma lui lo fece di nuovo anche il giorno dopo e poi quello dopo e quello dopo ancora.
Per settimane.
Con il sole e con la pioggia, con il caldo e con il freddo.
Era lì a spingere silenzioso per entrare nella mia vita.
Alla fine cedetti; conquistata dalla sua fedele insistenza gli sorrisi.
Lui si avvicinò, mi sfiorò con eleganza stringendo il suo corpo al mio e, compiaciuto, miagolò.
(Se ti piace, condividi, grazie! Ciao Enza Emira)
Io ero in auto e lui per strada.
Ne rimasi colpita certa, però, che non l’avrei mai più incontrato. E, invece, una settimana dopo era di nuovo lì a scrutarmi. Stesso posto, stesso incrocio.
Io in auto, lui per strada.
Ma questa volta c’era il sole e lui allegro e pieno di vita. Incontrare il suo sguardo fu piacevole; questo sebbene io a un tipo come lui non mi sarei mai sognata, dico mai sognata di dare spago. Eppure quella sua gioia di vivere qualcosa aveva prodotto in me.
Il giorno dopo ero lì che lo cercavo in mezzo alla gente, colta da un desiderio antico e lo confesso, assai seducente, di essere addomesticata. Io, proprio io, che sempre professavo la mia ostinata volontà di essere libera, libera da tutti e tutto, soprattutto da legami di questo tipo. Eppure, lo ammetto, lui aveva qualcosa che mi attraeva.
Lui se ne rese conto e iniziò a studiare da dove venissi. Me ne accorsi perché faceva su e giù per quell’incrocio cercandomi.
Questo mi spaventò, moltissimo.
Iniziai a cambiare strada, a evitare l’incrocio, lui e quel suo sguardo trappola. Fino a quando, una mattina, me lo trovai davanti al portone di casa.
Panico!
Non potevo, proprio non potevo, non così.
L’ignorai. Gli passai accanto facendo come se non esistesse. Lui ci rimase male, lo vidi con la coda dell’occhio. Voltò le spalle ed andò via.
La mattina dopo, però, lui era di nuovo davanti casa. Era lì, muto, a osservarmi mentre uscivo.
Ancora una volta lo ignorai. Ma lui lo fece di nuovo anche il giorno dopo e poi quello dopo e quello dopo ancora.
Per settimane.
Con il sole e con la pioggia, con il caldo e con il freddo.
Era lì a spingere silenzioso per entrare nella mia vita.
Alla fine cedetti; conquistata dalla sua fedele insistenza gli sorrisi.
Lui si avvicinò, mi sfiorò con eleganza stringendo il suo corpo al mio e, compiaciuto, miagolò.
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