Il signor Sotto Sotto (e la verità che ne deriva) - Capitolo II


Secondo capitolo: si fa la conoscenza del Signor "Sotto Sotto".
Ciao
Enza Emira


2. Il Signor Sotto Sotto
Si sentì colpito da un bastone. Gli occhi erano ancora così pesanti di sonno che fece fatica a capire cosa gli stesse succedendo.
Il bastone picchiò giù sulla pancia ancora una volta.
“Ahi!” strillò mettendosi seduto e massaggiandosi l'addome. “Ma vi siete impazzito?”.
Dinanzi a lui c'era un vecchio, con i capelli radi, bianco panna, due rughe profonde che gli segnavano le guance e una giacca grigia dai polsi sdruciti che sapeva di naftalina. L'uomo serrò le labbra carnose e alzò ancora una volta il bastone contro di lui. Ciro scattò scivolando giù dalla panchina come un gatto. Il legno emise un suono sordo colpendo la pietra levigata.
Il ragazzo sgranò gli occhi: “Perché cercate di colpirmi?”.
Il vecchio mugugnò e si sedette sulla panchina sistemando un sacco nero, che aveva a tracolla, accanto a sé. Da quella borsa veniva fuori un tubicino sottile trasparente con dentro, qua e là, una serie di goccioline d'acqua. Arrivava fino alle narici di quel vecchio che avidamente vi stringeva attorno le narici aspirando ossigeno.
Tossì.
Ciro si appoggiò al tronco del platano restando immobile.
L’uomo agitò ancora il bastone colpendolo di nuovo.
Questa volta sul braccio.
Il ragazzo strillò e si massaggiò l’arto indolenzito.
“Sciò” gridò il vecchio “sciò”.
Ciro rise.
Quel vecchio sembrava sua nonna mentre cercava di allontanare Attila, il cane lupo, che per l’aia si divertiva a inseguire le papere. “Sciò – gridava – sciò che me le spaventi e poi vengono le uova acide” urlava stringendosi l’indice tra i denti.
Alla stessa maniera, “Levati da qui – tuonò il vecchio – levati che è mio”.
Ciro chiuse la bocca studiando la vena gonfia del collo di quell’uomo che pulsava velocemente.
“Va’ via. Sei sordo? Non ci voglio gente qui.” continuò con tono insolente.
Ciro ebbe un sussulto.
Il vecchio si sistemò il tubicino nel naso e grugnì.
Ciro, indispettito, incrociò le braccia appoggiando tutta la schiena al tronco del platano.
Il vecchio balzò in piedi rabbioso. La sua mano ondeggiò sul pomo del bastone. Le pupille gli si strinsero e la bocca si schiuse. E con un soffio di fiato biascicò: “Io me lo sono conquistato questo posto e non me lo farò certo togliere da un ragazzino”.
La sua espressione era così dura da fare paura.
“Io c’ero già prima che tu crescessi nella pancia di tua madre”
Sputò per terra mettendosi di nuovo a sedere: “I giovani, ecco cosa sono: usurpatori maleducati che pensano che noi vecchi siamo da buttare”.
Tacque masticando la lingua.
Poi riprese: “Ma, mio caro, io sotto sotto sono ancora un leone e non mi farò certo mettere in un angolo da uno come te, che sei un terrone?”.
Ciro lo fissò incupito.
“C’ho colto, vero? Ahi voglia che cercate di mimetizzarvi, tanto sotto sotto…” e fermò la frase a metà squadrando Ciro. Il ragazzo strinse le spalle.
Non era riuscito ad afferrare nulla del senso di quelle parole vomitate con così tanta rabbia. “Sotto sotto”  si disse “sotto sotto”. Erano divertenti quei “sotto sotto”. Gli ricordavano Attila quando si infilava sotto alla catasta di legna cercando di sfuggire alla nonna che, armata di vanga, lo inseguiva mentre lui, Ciro,  gridava: “Sotto, Attila, sotto sotto, va’ sotto che sennò nonna ti spezza la schiena”.

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