Il bosco e la bambina (parte II)


Cosa succederà al bosco, ora che è chiuso in una bottiglia portata via dal mare?
Lo scoprirete solo leggendo. :)
La prima parte del racconto la trovate qui.
Enza Emira



Il bosco si risvegliò lungo le rive di un piccolo fiume. Faceva un gran caldo e tutt’intorno la terra era rossa e polverosa. Osservò che c’erano pochissimi alberi, forse qualche animale che, ogni tanto, sbucava dalla radura. Ora non si muoveva più, la sua bottiglia s’era fermata, incagliata tra due grossi sassi neri. E il sole picchiava, maledettamente.

“Povero me – pensò il bosco – fa un tale caldo che è peggio che stare in mare aperto, devo cercare di tornare a portata della corrente”. E mentre provava, muovendo tutti i suoi rami, a liberare l'ampolla, fu raccolto da una bambina dai denti bianchissimi e dalla pelle nera.
Il bosco rimase senza parole, attonito. Aveva saputo dagli uccelli che c’era un paese, l’Africa, dove gli uomini erano neri ma quando glielo avevano raccontato non ci aveva creduto.

Si spaventò così tanto che una parte delle foglie e degli aghi della sua folta chioma arborea divennero tutto d’un colpo gialli.

Godana, era questo il nome della bambina, trovò quella bottiglietta verde molto bella. Un tesoro per una bambina povera come lei, così decise di portarla con sé. La sistemò per bene nella sua bisaccia e, raccolti i due secchi che aveva riempito d’acqua, si incamminò verso casa. Ci vollero tre ore prima che Godana raggiungesse la sua piccola capanna fatta di fango e paglia. Consegnò l’acqua a sua madre e corse a nascondere il tesoro appena trovato. Lo sistemò nel cavo di un albero di baobab, era il suo angolo segreto dove amava andare a giocare quando aveva un minuto libero dai lavori di casa.

Godana era la quarta di sei figli. Era l’unica femmina e per questo motivo i genitori, che erano poveri pastori, avevano deciso di non mandarla a scuola. Perciò la bambina sbrigava ogni giorno le faccende domestiche, alcune come spazzare e sistemare i letti, erano facili; altre invece erano pensantissime come, per esempio, andare al fiume a prendere l’acqua. Ci andava quasi sempre da sola, faceva un sacco di chilometri a piedi stando attenta a non versare l’acqua se no le toccava tornare indietro.

All’inizio Godana aveva pensato che fosse divertente non essere costretta ad andare a scuola ma più vedeva i progressi fatti dai fratelli grandi nella lettura, nella scrittura e nel far di conto e più si rendeva conto che se anche lei non avesse imparato non sarebbe potuta andare al mercato, in città o addirittura viaggiare insomma stava perdendo una grossa occasione per migliorare la sua vita.

Incominciò così a conservare tutti i pezzi di carta sui quali c’era scritto qualcosa, fogli di giornale, piccoli cartelli, pagine di quaderno dei suoi fratelli. Li raccoglieva e li nascondeva tutti nel baobab.

Quando il bosco si riprese dallo spavento, era già finito nel tronco del baobab. La bottiglia si trovava in mezzo a un mucchio di cartacce. Gli fu subito chiaro che era nel cavo di un albero la qual cosa lo divertì molto. Mai nelle più sfrenate fantasie sulle cose impossibili avrebbe pensato di trovare un bosco sistemato tutto in un tronco. Rise facendo tintinnare l'ampolla. Lì era al buio ma in compenso c'era fresco. E dopo il caldo delle ultime ore sembrava il regalo più bello che avesse mai ricevuto.

Verso il tramonto, Godana arrivò fino al baobab e tirò fuori i suoi tesori: la bottiglia e le carte. All’inizio giocherellò un po’ con quella assurda ampolla con un mucchio di alberi in miniatura dentro. Ma chi ce li aveva messi dentro?
La risposta era troppo difficile da trovare così Godana smise di pensarci. E incominciò a guardare la sue carte facendo finta di leggerle.
Così inventava storie e parole e poi cercava di ricopiare i segni che le piacevano di più nella polvere. Il bosco a vederla fare quel gioco rise a crepapelle per l’ignoranza di quella ragazzina che non sapeva neanche distinguere una A da una B.
Rise così forte che Godana lo sentì.

“Perché ridi?” chiese Godana scuotendo la bottiglia.

“Oh, oh fermati che altrimenti mi viene il mal di mare” strillò il bosco

“Ma che fai lì dentro?”

“Scusa ma sono affari miei, tu piuttosto sei ridicola con quei pezzi di carta”

“Bell’educazione che hai… prima ridi, poi mi tratti male”

“Hai ragione, perdonami…ehm sono il bosco della Marmolada e tu come ti chiami?”

“Godana, oh… - disse con stupore la bambina mentre rigirava la bottiglia – ma sei davvero un bosco? Non ne avevo mai visto uno… strano pensavo che fossero grandi e imponenti i boschi…”

“Ehm… lo sono…ehm questa è solo una condizione momentanea”

“Momentanea? Che vuol dire?”

“Che prima non era così e poi dopo non sarà più così”

“Ah, non ci ho capito niente”

“Ti credo, ignorante come sei, non sai neanche leggere! Devi essere la più asina di tutta la classe”

“Ma – disse Godana indispettita – guarda che io a scuola non ci vado”

“Bigi, fai filone, fai sega insomma marini? Ma che brava ragazzina!!!”

“Stupido, non mi è permesso andare a scuola, a casa non abbiamo molti soldi e io poi sono una femmina”

“Femmina? E che vuol dire?”

“Ah, ma dove vivi? Vuol dire che devo aiutare mamma a pulire la casa, a cucinare, ad accudire le bestie”. Godana si girò e ricominciò a fantasticare sulle sue cartacce.

“Ah, allora scusa… io vengo da un altro paese e lì le cose vanno diversamente, credimi. Altro che stare in casa, lì le bambine fanno di tutto: studiano, fanno sport, ballano, recitano, vanno a cavallo…”

“Non mi interessa - disse con il magone Godana - ora devo tornare a casa”.

Il bosco rimase di stucco. Cercò di capire cosa avesse sbagliato e perché quella bambina se la fosse presa così tanto. Bah, va a capire le donne!

Il giorno dopo, Godana non andò al baobab e il bosco se ne rammaricò e si rimproverò. Per mesi era stato da solo, finalmente trovava qualcuno con cui parlare e puff… si metteva a prenderlo in giro. Era stato uno stupido. Provò a chiacchierare con il baobab ma forse era un albero sordo perché proprio non rispondeva neanche se lo si sbeffeggiava. “Che tristezza – pensò il bosco – almeno in mare vedevo il sole, qui sto pure al buio”.

Al tramonto però del terzo giorno, la bambina nera si fece viva. Aveva un piedino fasciato.

“Ciao sapientone” disse Godana scuotendo la bottiglia.

E il bosco: “Ma che hai combinato?”

“Oh, nulla sono inciampata con i secchi pieni d’acqua ed eccomi qui”

“E cosa ci fai con i secchi?”

“Oh, bella, porto l’acqua per cucinare e lavarci. Non abbiamo mica il fiume che passa nella nostra capanna!!” e rise.

“Certo che vivi in un postaccio se devi persino andarti a prendere l’acqua”

“Perché? Qui tutti fanno così. A volte noi bambine ci diamo appuntamento e ci andiamo assieme al fiume, così è meno faticoso e più piacevole”

“Contenta te?”

“Parli tu che vivi in una bottiglia”

“Non dipende dalla mia volontà”

“Che vuol dire?”

“Vuol dire che sono in queste condizioni per colpa di qualcun altro”

“Io dico così quando l’ho fatta grossa e non voglio riconoscere la mia colpevolezza”

“Eh va bene – disse il bosco sentendosi punto sul vivo – io volevo solo starmene per i fatti miei e allora la ninfa Cristallina…” e raccontò tutta la sua storia alla bambina.

Ben presto Godana e il bosco divennero amici inseparabili. Si trovavano simpatici e si raccontavano un sacco di cose.
Il bosco le parlò delle Dolomiti, degli animali, degli uccelli e della neve che tanto stupiva quella bambina abituata al sole e al massimo a qualche goccia di pioggia. Era così sveglia, intelligente e desiderava così tanto capire le ragioni delle cose che il bosco decise di insegnarle a leggere e a scrivere.
Perciò Godana passava interi pomeriggi al baobab a fare dettati, esercizi e risolvere problemi di matematica. Il bosco tutte le notti intrecciava le sue foglie e ne faceva pagine sulle quali scriveva storie e avventure che aveva sentito raccontare dal vento delle Dolomiti alle stelle del cielo e con queste faceva esercitare la bambina.
Dopo qualche settimana aveva sfoltito le chiome di una decina di alberi, ma questo non importava perché un sorriso di Godana valeva tutta la fatica.

La bambina, dal canto suo, era così felice di aver finalmente imparato a leggere che non si trattenne e rivelò la cosa alle altre bambine dei dintorni. All’inizio Ibtisan e le altre non le credettero ma, quando videro Godana scrivere per terra i loro nomi, si entusiasmarono.
Così accadde che tutte, una dopo l’altra andassero al grande baobab a chiedere al bosco di insegnare loro qualcosa.
Il bosco si sentì girare la testa. “Sono un bosco – ripeteva – non sono una maestra”. Ma quelle bambine insistettero con così tanta dolcezza che il bosco dovette cedere.

Il guaio fu che le bambine lo dissero ad altre bambine e queste ad altre ancora e gli adulti incominciarono a capire che al grande baobab accadeva qualcosa. Così una sera, verso il tramonto, i grandi del villaggio sorpresero le loro bambine mentre facevano prove di letture.
Immaginate lo stupore: tutte quelle bambine che in circolo parlavano con una bottiglia. Che stregoneria era questa?

Il capo del villaggio afferrò quello strano oggetto e incominciò a scuoterlo tra le grida di spavento della gente. Qualcuno propose di romperlo e vedere cosa ci fosse dentro. Ci provarono in tutte le maniere. Prima con un sasso, poi con una vanga, poi con il fuoco.
Ma non ci riuscirono perché, come aveva detto la ninfa Cristallina, solo l’amore del bosco avrebbe potuto rompere il vetro della bottiglia. Alla fine gli adulti, stanchi dei loro vani tentativi, incominciarono a prendersela con Godana, la proprietaria della bottiglia.
“È una strega!” gridò qualcuno. E, senza pensarci due volte, presero la bambina, le tolsero i pochi panni che aveva e, rivestitala con un sacco, la cacciarono dal villaggio senza darle neppure la possibilità di spiegare.

Quella notte Godana pianse tutte le lacrime che aveva. “Ora so leggere – diceva – ma ho perso tutto quello che avevo. Cosa mangerò, parole scritte nella polvere?”.
Poi presa in mano la bottiglia, fissò il bosco e disse: “Mi dispiace, sai, se fossi stata grande ti avrei riportato sulle tue montagne e così magari tu mi avresti fatto vedere la neve”.
A queste parole il bosco si commosse. “Questa bambina mi vuole davvero bene se in un momento così difficile si preoccupa per me” pensò e per la prima sentì un bel calore in fondo al suo cuore duro di legno. Un calore che scivolò fuori dalle chiome dei suoi alberi e filtrò attraverso il vetro della bottiglia che, fattasi luminosa, si dissolse.
In un attimo il bosco fu libero e circondò con un amorevole abbraccio la piccola Godana che, esausta, s’era addormentata.

Fu così che la bambina nera e il bosco della Marmolada vissero per sempre insieme. Godana potette continuare a studiare e il bosco con le sue acque e i suoi frutti si prese cura di lei.
E la gente del villaggio?
Quando vide che in pieno deserto, dalla notte al giorno, era spuntato un meraviglioso bosco, incominciò ad avere rispetto di Godana, che ora era la bambina più ricca della regione.
Così fu concesso a tutte le altre ragazzine di andare a studiare nel bosco. Con il tempo fu costruita addirittura una scuola vera con banchi e lavagne dove, ancora oggi, Godana insegna ai bambini poveri a leggere, scrivere e far di conto.

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