Oggi vi racconto la storia di Kiki, un tigrotto... con un brutto carattere.
Buona lettura!
Kiki aveva un brutto carattere. Era una tigre vanitosa ed egocentrica e questo certo non la rendeva simpatica. Più volte la mamma l’aveva messa in guardia: “Kiki – le diceva – se pensi solo a te e ai tuoi bisogni, nessuno mai ti vorrà davvero bene”.
Ma Kiki non dava peso a queste parole. Figurarsi se una tigre forte e bella come lei non aveva amici. Anzi! Perché Jack, il lupo, non era un amico? E Tilde, la iena? E Nicolai, quel cane lupo addomesticato, un po’ pettegolo ma tanto simpatico? Loro la rispettavano e le obbedivano, soprattutto quando si trattava di andare a caccia nella steppa.
“Kiki – le ripeteva la mamma – puoi fidarti di un lupo affamato e di una iena che, vedrai, al momento giusto non si farà scrupolo di abbandonarti? E poi dar ascolto a un pettegolo… – e scuoteva la testa – Come fai a pensare che siano tuoi amici? Hai ancora troppe cose da imparare”.
Kiki non sopportava i commenti della mamma. “Non sono più piccola – borbottava tra sé e sé – so cavarmela. Sono una tigre, la più bella tigre della steppa. Tutti mi amano e mi temono perché sono la più forte. Non c’e’ animale al mondo che io non possa battere”.
Kiki passava tutto il giorno a giocare con Jack, Tilde e Nicolai. Si divertivano un sacco a prendere in giro gli scoiattoli e a spaventare gli uccelli.
Una mattina d’inverno Kiki e compagni, per spezzare la monotonia di quelle giornate fredde e tutte uguali, decisero di andare a caccia di volpi. Tilde da giorni aveva messo gli occhi su una certa tana dove stavano due volpi argentate. “Di quelle veloci - aveva detto a Kiki - ancor più divertenti da inseguire”, “di quelle buone - aveva sussurrato di nascosto a Jack e Nicolai - gustose da mangiare”.
Così la compagnia s’era avventurata tra i mughi pieni di neve seguendo le tracce che le due volpi avevano lasciato. Arrivare alla tana fu facile. Jack non fece a tempo a mettere la zampa sul morbido pelo argentato delle volpi che le due, impaurite, schizzarono fuori dal loro nascondiglio e presero a correre, correre e correre.
Subito Kiki, divertita dalla scena, si lanciò all’inseguimento. Più volte fu sul punto di afferrarle ma quelle volpi riuscivano sempre a cavarsela. Fin quando Jack e Tilde non le accerchiarono spingendole, tremanti, tra le zampe di Kiki.
Il gioco per quanto crudele, avrebbe potuto finire qui ma Nicolai, sperando di assaggiare la carne di volpe, suggerì a Kiki, blandendola, di dare una lezione a tutti quei piccoli animali che si sentono più furbi delle tigri. “Come le volpi, per esempio – le disse – Potresti trarne grosso vantaggio e rispetto. Una zampata ben assestata a uno di questi animali e in tutta la steppa capiranno chi è il più forte, mia regina”.
Kiki ci pensò su un attimo, sorridendo soddisfatta per quel “mia regina”, e poi rivolta alle volpi: “Sarò magnanima, per questa volta non vi uccido ma voglio che conosciate la mia potenza” e con un colpo spezzò la zampa anteriore di una delle volpi.
Questa fu la prima volta che Kiki, per vanità, esercitò il suo potere. In seguito fu facile per i suoi amici far leva sul suo orgoglio per andare a caccia di donnole, lepri, conigli e persino galline che venivano attaccate nei loro pollai.
Nella steppa ormai tutti erano a conoscenza delle bravate di Kiki e della sua banda. Nicolai si diede molto da fare per raccontare a ogni animale del bosco le prodigiose gesta della regina della steppa.
Così di bocca in bocca le chiacchiere su Kiki giunsero all’orecchio dell’uomo.
Negli ultimi tempi erano stati presi di mira troppi pollai e gli uomini, preoccupati prima e arrabbiati poi, decisero di eliminare la tigre che dava la caccia ai polli. Qualcuno, addirittura, si mise in testa di farne un bel tappeto, qualcun altro di spedirla in uno zoo: l’importante era catturarla al più presto.
Così una sera uscirono in cinque dalla fattoria al limite della steppa, armati di lazzi e fucili.
C’era un vento freddo e pungente. Qualche fiocco di neve veniva giù dal cielo e il sole aveva ormai toccato la linea dell’orizzonte.
Le lanterne accese illuminavano le tracce lasciate da Kiki, Jack, Tilde e Nicolai dopo l’ultimo assalto.
Fu il cane lupo ad accorgersi per primo che gli uomini li stavano inseguendo. Si fermò a spiarli per un po’.
“Bisogna trovare una soluzione – pensò Nicolai – per salvare la pelle”.
Perciò senza dire nulla ai suoi compagni, si risolse ad andare incontro agli uomini fingendo di essere stato anche lui aggredito da Kiki.
A vederlo così malmesso, gli uomini credettero subito che Nicolai fosse l’ennesima vittima della regina della steppa e se ne presero cura. E quando la neve coprì le tracce, fu Nicolai, con il suo fiuto, nel suo nuovo ruolo di segugio, a riportare gli uomini sulla pista giusta.
Nel bosco, intanto, la voce che Kiki aveva le ore contate, era corsa rapidamente. Allora Tilde chiamò Jack: “Ascolta – disse – siamo in un bel pasticcio, gli uomini di certo non molleranno fin quando non ci avranno presi. Perché non ce la squagliamo? Tanto se i cacciatori prendono Kiki saranno più che soddisfatti”.
Fu così che la regina della steppa si ritrovò sola, senza un posto dove nascondersi. Quando vide i cacciatori, Kiki si ricordò delle mille volte nelle quali si era vantata della sua forza.
Ma contro gli uomini come poteva combattere?… beh, meglio scappare come la più veloce delle volpi.
La fuga della tigre durò poco, fin quando un proiettile, sparato dal più piccolo dei cacciatori, la ferì ad una zampa. Il dolore fu così violento che Kiki perse l’equilibrio e capitombolò giù per una scarpata come morta, priva di sensi.
La risvegliò, dopo ore di incoscienza, un buon profumino di cavoli lessi. E si ricordò che da un bel po’ non mangiava.
Aprì gli occhi e, lontano, scorse una dacia con un comignolo che fumava.
Quell’odorino proveniva dall’uscio socchiuso. Fuori, sul piazzale antistante, c’era il piccolo Mikail, uscito a prendere un po’ di legna.
Kiki cercò di sollevarsi ma il dolore la costrinse a rimanere a terra. La ferita aveva smesso di sanguinare ma non riusciva a muoversi.
Provò allora ad attirare l’attenzione del bambino ruggendo. Fu peggio.
Mikail, spaventatosi, corse subito in casa serrando bene la porta. Kiki ruggì ancora e incominciò a piangere disperata.
Allora vide un uomo affacciarsi dall’uscio e sparare, con il suo grosso fucile, qualche colpo in aria.
Il rumore fu tale che tutti gli uccelli sugli alberi attorno scapparono via.
“Povera me – si ripeteva la tigre – Che stupida sono stata. Guarda come mi sono ridotta. E nessuno che mi ascolti!. Che me ne faccio di tanta bellezza e forza se devo morire così?”
Ripensò allora a quando, braccata dai cacciatori, tutti gli animali della steppa le avevano chiuso la porta sul muso. Quei piccoli scoiattoli, quelle deboli donnole le avevano gridato che era troppo tardi per cercare amicizia e affetto.
A Kiki si strinse il cuore riflettendo su quanto disprezzo s’era procurata con il suo sciocco comportamento. E questo dolore bruciò più forte di quello della ferita.
Fu la fame a spingere Kiki fino alla porta della dacia. Si era trascinata sulle zampe anteriori e, esausta, era crollata davanti all’uscio. Mikail l’aveva vista attraverso il vetro della cucina.
“Mamma – aveva gridato – c’e’ una tigre ferita che ha bisogno d’aiuto”.
E la madre: “Mikail, smettila con le sciocchezze e vieni a finire la tua minestra”.
“Ma mamma, ti dico…”
“Mikail, non farmelo ripetere!”.
Mikail abbassò gli occhi e obbedì. Ma il pensiero di quella tigre non l’abbandonava. Così quando tutti furono a letto, scese in cucina. Prese un po’ di latte e lo versò in una scodella che fece scivolare fuori dall’uscio.
Quanta gioia per Kiki poter mandare giù qualcosa di buono. Poco dopo la tigre vide le piccole mani di Mikail tastare le sue zampe ferite. Il bambino le sorrideva mentre le copriva i tagli con delle bende.
Kiki , pensando che forse qualcuno in cielo le stava offrendo una seconda opportunità, si addormentò riconoscente.
Un mese dopo Kiki era completamente guarita. Chi fosse passato dalla dacia non avrebbe creduto ai propri occhi. Avrebbe visto Mikail giocare allegramente con Kiki, docile come un cane. Avrebbe notato una tigre, dal portamento regale, fare la guardia a galline, lepri, conigli e uccelli, e difendere la casa da lupi, iene e cani pettegoli.
Vi è piaciuta la storia di Kiki? Potete mandarmi un vostro disegno di Kiki per pubblicarlo sul sito!
E, se ne avete l'occasione, condividete su Facebook questa storia (o tutto il sito!).
Grazie!
Ciao ciao
Enza Emira
Buona lettura!
Kiki aveva un brutto carattere. Era una tigre vanitosa ed egocentrica e questo certo non la rendeva simpatica. Più volte la mamma l’aveva messa in guardia: “Kiki – le diceva – se pensi solo a te e ai tuoi bisogni, nessuno mai ti vorrà davvero bene”.
Kiki disegnata da Mariateresa |
Ma Kiki non dava peso a queste parole. Figurarsi se una tigre forte e bella come lei non aveva amici. Anzi! Perché Jack, il lupo, non era un amico? E Tilde, la iena? E Nicolai, quel cane lupo addomesticato, un po’ pettegolo ma tanto simpatico? Loro la rispettavano e le obbedivano, soprattutto quando si trattava di andare a caccia nella steppa.
“Kiki – le ripeteva la mamma – puoi fidarti di un lupo affamato e di una iena che, vedrai, al momento giusto non si farà scrupolo di abbandonarti? E poi dar ascolto a un pettegolo… – e scuoteva la testa – Come fai a pensare che siano tuoi amici? Hai ancora troppe cose da imparare”.
Kiki non sopportava i commenti della mamma. “Non sono più piccola – borbottava tra sé e sé – so cavarmela. Sono una tigre, la più bella tigre della steppa. Tutti mi amano e mi temono perché sono la più forte. Non c’e’ animale al mondo che io non possa battere”.
Kiki passava tutto il giorno a giocare con Jack, Tilde e Nicolai. Si divertivano un sacco a prendere in giro gli scoiattoli e a spaventare gli uccelli.
Una mattina d’inverno Kiki e compagni, per spezzare la monotonia di quelle giornate fredde e tutte uguali, decisero di andare a caccia di volpi. Tilde da giorni aveva messo gli occhi su una certa tana dove stavano due volpi argentate. “Di quelle veloci - aveva detto a Kiki - ancor più divertenti da inseguire”, “di quelle buone - aveva sussurrato di nascosto a Jack e Nicolai - gustose da mangiare”.
Così la compagnia s’era avventurata tra i mughi pieni di neve seguendo le tracce che le due volpi avevano lasciato. Arrivare alla tana fu facile. Jack non fece a tempo a mettere la zampa sul morbido pelo argentato delle volpi che le due, impaurite, schizzarono fuori dal loro nascondiglio e presero a correre, correre e correre.
Subito Kiki, divertita dalla scena, si lanciò all’inseguimento. Più volte fu sul punto di afferrarle ma quelle volpi riuscivano sempre a cavarsela. Fin quando Jack e Tilde non le accerchiarono spingendole, tremanti, tra le zampe di Kiki.
Il gioco per quanto crudele, avrebbe potuto finire qui ma Nicolai, sperando di assaggiare la carne di volpe, suggerì a Kiki, blandendola, di dare una lezione a tutti quei piccoli animali che si sentono più furbi delle tigri. “Come le volpi, per esempio – le disse – Potresti trarne grosso vantaggio e rispetto. Una zampata ben assestata a uno di questi animali e in tutta la steppa capiranno chi è il più forte, mia regina”.
Kiki ci pensò su un attimo, sorridendo soddisfatta per quel “mia regina”, e poi rivolta alle volpi: “Sarò magnanima, per questa volta non vi uccido ma voglio che conosciate la mia potenza” e con un colpo spezzò la zampa anteriore di una delle volpi.
Questa fu la prima volta che Kiki, per vanità, esercitò il suo potere. In seguito fu facile per i suoi amici far leva sul suo orgoglio per andare a caccia di donnole, lepri, conigli e persino galline che venivano attaccate nei loro pollai.
Nella steppa ormai tutti erano a conoscenza delle bravate di Kiki e della sua banda. Nicolai si diede molto da fare per raccontare a ogni animale del bosco le prodigiose gesta della regina della steppa.
Così di bocca in bocca le chiacchiere su Kiki giunsero all’orecchio dell’uomo.
Negli ultimi tempi erano stati presi di mira troppi pollai e gli uomini, preoccupati prima e arrabbiati poi, decisero di eliminare la tigre che dava la caccia ai polli. Qualcuno, addirittura, si mise in testa di farne un bel tappeto, qualcun altro di spedirla in uno zoo: l’importante era catturarla al più presto.
Così una sera uscirono in cinque dalla fattoria al limite della steppa, armati di lazzi e fucili.
C’era un vento freddo e pungente. Qualche fiocco di neve veniva giù dal cielo e il sole aveva ormai toccato la linea dell’orizzonte.
Le lanterne accese illuminavano le tracce lasciate da Kiki, Jack, Tilde e Nicolai dopo l’ultimo assalto.
Fu il cane lupo ad accorgersi per primo che gli uomini li stavano inseguendo. Si fermò a spiarli per un po’.
“Bisogna trovare una soluzione – pensò Nicolai – per salvare la pelle”.
Perciò senza dire nulla ai suoi compagni, si risolse ad andare incontro agli uomini fingendo di essere stato anche lui aggredito da Kiki.
A vederlo così malmesso, gli uomini credettero subito che Nicolai fosse l’ennesima vittima della regina della steppa e se ne presero cura. E quando la neve coprì le tracce, fu Nicolai, con il suo fiuto, nel suo nuovo ruolo di segugio, a riportare gli uomini sulla pista giusta.
Nel bosco, intanto, la voce che Kiki aveva le ore contate, era corsa rapidamente. Allora Tilde chiamò Jack: “Ascolta – disse – siamo in un bel pasticcio, gli uomini di certo non molleranno fin quando non ci avranno presi. Perché non ce la squagliamo? Tanto se i cacciatori prendono Kiki saranno più che soddisfatti”.
Fu così che la regina della steppa si ritrovò sola, senza un posto dove nascondersi. Quando vide i cacciatori, Kiki si ricordò delle mille volte nelle quali si era vantata della sua forza.
Ma contro gli uomini come poteva combattere?… beh, meglio scappare come la più veloce delle volpi.
La fuga della tigre durò poco, fin quando un proiettile, sparato dal più piccolo dei cacciatori, la ferì ad una zampa. Il dolore fu così violento che Kiki perse l’equilibrio e capitombolò giù per una scarpata come morta, priva di sensi.
La risvegliò, dopo ore di incoscienza, un buon profumino di cavoli lessi. E si ricordò che da un bel po’ non mangiava.
Aprì gli occhi e, lontano, scorse una dacia con un comignolo che fumava.
Quell’odorino proveniva dall’uscio socchiuso. Fuori, sul piazzale antistante, c’era il piccolo Mikail, uscito a prendere un po’ di legna.
Kiki cercò di sollevarsi ma il dolore la costrinse a rimanere a terra. La ferita aveva smesso di sanguinare ma non riusciva a muoversi.
Provò allora ad attirare l’attenzione del bambino ruggendo. Fu peggio.
Mikail, spaventatosi, corse subito in casa serrando bene la porta. Kiki ruggì ancora e incominciò a piangere disperata.
Allora vide un uomo affacciarsi dall’uscio e sparare, con il suo grosso fucile, qualche colpo in aria.
Il rumore fu tale che tutti gli uccelli sugli alberi attorno scapparono via.
“Povera me – si ripeteva la tigre – Che stupida sono stata. Guarda come mi sono ridotta. E nessuno che mi ascolti!. Che me ne faccio di tanta bellezza e forza se devo morire così?”
Ripensò allora a quando, braccata dai cacciatori, tutti gli animali della steppa le avevano chiuso la porta sul muso. Quei piccoli scoiattoli, quelle deboli donnole le avevano gridato che era troppo tardi per cercare amicizia e affetto.
A Kiki si strinse il cuore riflettendo su quanto disprezzo s’era procurata con il suo sciocco comportamento. E questo dolore bruciò più forte di quello della ferita.
Fu la fame a spingere Kiki fino alla porta della dacia. Si era trascinata sulle zampe anteriori e, esausta, era crollata davanti all’uscio. Mikail l’aveva vista attraverso il vetro della cucina.
“Mamma – aveva gridato – c’e’ una tigre ferita che ha bisogno d’aiuto”.
E la madre: “Mikail, smettila con le sciocchezze e vieni a finire la tua minestra”.
“Ma mamma, ti dico…”
“Mikail, non farmelo ripetere!”.
Mikail abbassò gli occhi e obbedì. Ma il pensiero di quella tigre non l’abbandonava. Così quando tutti furono a letto, scese in cucina. Prese un po’ di latte e lo versò in una scodella che fece scivolare fuori dall’uscio.
Quanta gioia per Kiki poter mandare giù qualcosa di buono. Poco dopo la tigre vide le piccole mani di Mikail tastare le sue zampe ferite. Il bambino le sorrideva mentre le copriva i tagli con delle bende.
Kiki , pensando che forse qualcuno in cielo le stava offrendo una seconda opportunità, si addormentò riconoscente.
Un mese dopo Kiki era completamente guarita. Chi fosse passato dalla dacia non avrebbe creduto ai propri occhi. Avrebbe visto Mikail giocare allegramente con Kiki, docile come un cane. Avrebbe notato una tigre, dal portamento regale, fare la guardia a galline, lepri, conigli e uccelli, e difendere la casa da lupi, iene e cani pettegoli.
Vi è piaciuta la storia di Kiki? Potete mandarmi un vostro disegno di Kiki per pubblicarlo sul sito!
E, se ne avete l'occasione, condividete su Facebook questa storia (o tutto il sito!).
Grazie!
Ciao ciao
Enza Emira
mi piace molto quest'idea di fiaba a puntate..ha il sapore di quelle storie raccontate alla radio di qualche tempo fa...qualcosa di antico utilizzando un sistema di comunicazione ipermoderno.kisses K
RispondiEliminaDelizioso, mia cara. Ti linko subito.
RispondiEliminaCiao Enza!!
RispondiEliminaComplimenti per l'inizio della fiaba. Avere un bimbo da crescere deve essere una favola, e avere delle belle favole per farlo crescere è un bel dono.
Complimenti, Pietro
Ciao Enza. Sono Nairí e ho 9 anni.Ho letto il tuo racconto per un compito.
RispondiEliminaMi è piacciuta molto molto questa fiaba.Perchè c'è tanta fantasia , mi è piaciuta di più la parte finale perchè è nata una nuova amicizia tra il bambino e la tigre.
Secondo me sei una grande scrittrice! La mamma ha promesso di comprarmi piú dei tuoi libri. ciao! Nairí
Ciao Nairì! Scusami, ma solo questa sera ho letto il tuo messaggio; spero che tu possa leggere questa mia risposta.
RispondiEliminaSono contenta che la storia di Kiki ti sia piaciuta; continua a leggere, i libri sono un mondo fantastico!
Ciao
Enza Emira