Buongiorno a tutti!
Oggi inizio a raccontarvi una nuova fiaba, di un gruppo di animali che... beh, leggete e fatemi sapere cosa ne pensate.
Ricordatevi che aspetto i vostri disegni e, se le fiabe raccontate vi piacciono, segnalate per cortesia l’indirizzo di questo sito ai vostri amici (o "linkate" il sito).
Grazie!
Ciao
Enza Emira
Immaginate una siepe di alloro odoroso e un viottolo di sassolini bianchi; tutt’intorno campi dove il grano sorride al sole; in fondo una fattoria di mattoni rossi, una legnaia e qualche covone inumidito dalla rugiada notturna; sul retro un’aia di terra battuta sulla quale affacciano una stalla ed un pollaio e, vicino, un orto, pieno di insalata, zucchine e fiori.
“Smettila di nasconderti tra i fiori, tanto ti vedo” gridò Cinetto, il pulcino più giallo della fattoria.
Lena la farfalla lo guardò divertita. “Dici così –gli gridò- perché non riesci a prendermi. Tanto a questo gioco vinco sempre io”.
“Beh, ancora per poco. Presto compirò un mese –rispose Cinetto- e allora le vedi queste…” e mosse le alucce ancora spennacchiate.
Lena iniziò a ridere prima ancora che Cinetto potesse finire. “È inutile che ridi… io imparerò a volare… e allora saranno guai per te”.
E Lena: “Come no! aspetto con ansia quel giorno”.
Cinetto, inseguendola, rotolò giù per una foglia di insalata e finì sul piede del fattore.
Tirava una brutta aria su quell’aia e il pulcino, che era molto sveglio, se ne accorse subito.
“Insomma capisci?” diceva il fattore alla moglie “non si può fare niente. Sono stato al Comune, alla Regione, … ma niente, questa maledetta autostrada passerà di qua, punto e basta”.
La moglie stava zitta e con gli occhi umidi guardava il marito. “Lo so, anche per me è come dar via un pezzo di cuore, ma ci pagano per andarcene. Ricominceremo da qualche altra parte, magari in città. Eh?”.
La moglie strinse le spalle e si voltò cercando con lo sguardo i figli che giocavano nel campo di grano. Cinetto stette lì per un po’ ad ascoltare grattandosi le piume.
Da poco aveva imparato il linguaggio degli uomini e aveva ancora qualche difficoltà a comprendere tutte le parole.
“Che fai così imbambolato?” gli urlò nell’orecchio Lena.
Cinetto non rispose tutto preso dai suoi pensieri. Improvvisamente però gli si accese una strana luce negli occhi e, quasi terrorizzato, corse, in un lampo, al pollaio.
Aveva capito.
Fu Pollice, il pettirosso, a convocare tutti gli animali della fattoria.
Si radunarono al centro dell’aia.
Era già calato il sole e tutt’intorno c’era una straordinaria calma.
“Abbiamo un grosso problema” esordì Amilcare, il cavallo. Aveva preso lui la parola perché era il più anziano del gruppo. “Oggi abbiamo scoperto, per chi ancora non lo sapesse, che il fattore va via”.
Ci fu un “Ooh…” che si sollevò dall’assemblea.
“Ma non vi ho ancora detto il peggio – proseguì Amilcare – Se ne va perché presto al posto di questa fattoria ci sarà un’autostrada!”
Questa volta ci fu un coro di “Aah…”.
“Ciò vuol dire –continuò Amilcare - che saremo mandati via!”.
Ci fu un silenzio terribile.
Nessuno osò fiatare.
Fin quando Lola, l’oca, preoccupata per quello che stava accadendo, non resistette più ed esclamò: “Mio dio, come farò a preparare tutti quei bagagli?!”
“Sei una sciocca!” la rintuzzò Marta, la vacca, “non hai capito che questa è la fine per tutti noi? Sei buona solo per diventare un piumino”
“Ah sì?, e tu solo per diventar bistecca”
“Villana!”
“Zotica e ignorante”.
“Smettetela –abbaiò Lucy, il pastore tedesco- la cosa migliore è affrontare il problema e organizzarsi. Penso che chiederò a mia cugina di ospitarmi. Sono anni che prometto di andarla a trovare”.
“Giusto -intervenne Dalia, la chioccia- io devo pensare per tempo ai miei pulcini. Così piccoli e già costretti a trovare una nuova casa!”.
I due maialetti grugnirono “E noi? come troveremo altro fango così bello dove rotolarci? Ah, che peccato!”.
Amilcare scosse il capo e tutti non fecero altro che ripetere quanto bello fosse vivere lì, in quella fattoria.
Finché, ad un tratto, tirata per le piume da Cinetto, arrivò Agata.
Agata era quella che nel pollaio definivano “una gallina ribelle”. Era stata così sin da quando era un pulcino; aveva poi una macchia nera, sotto l’occhio sinistro, che a tutti appariva come il marchio del suo destino.
Ormai ad Agata nessuno badava più e lei, da tempo, se ne stava per i fatti suoi: preferiva la solitudine all’essere presa in giro per quella macchia nera e per quel caratterino che si ritrovava.
Tutti la guardarono stupiti e questo infastidì non poco Agata che, sprezzante, disse: “Allora, questa congrega di eccelsi pensatori che ha deciso?…” e Amilcare “Agata, non è il caso di fare l’antipatica”.
“Giusto, giusto” ripeterono gli altri animali.
“Agata ha ragione. –disse Lola- Che facciamo?”.
Ci fu un lungo brusio: c’era un’alternativa al lasciare per sempre la fattoria?
“Non mi vorrete dire -continuò Agata- che vi arrendete così!? Stupidi animali sempre pronti ad obbedire”.
“Ehi, macchietta” ghignò Lucy “Sta’ attenta a quello che dici”.
“Parli proprio tu –la rintuzzò Agata– il miglior amico dell’uomo, puah”.
Agata si stava rendendo davvero insopportabile.
“Forse –disse timidamente Lola l'oca, spremendo al massimo il suo cervello- potremmo andare a parlare con qualcuno. Che so, con il Sindaco”. Ci fu un boato di risate.
“Una stupida idea da una stupida oca” bisbigliarono tutti. E Agata, che non sopportava le ingiustizie, soprattutto quando viene preso in giro chi è più debole, disse: “Invece è un’ottima idea”, soddisfatta di aver contrariato tutti.
“Giusto, -dissero i due maialini- vacci tu dal Sindaco così farà un ottimo brodo!”.
“Vigliacchi -urlò Agata- ci andrò e vedrete!”.
“Vengo con te” aggiunse con orgoglio Lola.
“Così il Sindaco si farà un bel brodo e un bel piumino” ridacchiarono gli altri.
“Sorella, siamo state grandi” ripeteva Lola.
Da un’ora gallina e oca si erano messe in cammino e Lola non aveva smesso un minuto di parlare.
Era troppo contenta di aver messo, per una volta, a posto i sapientoni del consiglio.
“In che razza di guaio mi sono ficcata” pensava invece Agata, amareggiata di aver dato retta ad una stupida oca.
La città era ormai troppo vicina per tirarsi indietro e, d’altronde, non poteva certo tornare indietro con le piume tra le zampe.
“Questi uomini sono proprio strani –commentò Lola entrando nella piazza principale della città– corrono su e giù. E poi qui è tutto grigio, -e alludendo alla strada asfaltata- persino i prati sui quali camminano sono duri e scomodissimi”.
“Oddio! ” mormorò Agata “È proprio scema”.
“Guardali, sono buffi, tutti infagottati in queste giacche gonfie e piene di cuciture”.
“Sono piumini” le replicò secca Agata.
“Ah, sì, sì, piumini… e io che dicevo, sì, sì, piumini, piumini d’oca… d’oca? Ahhhhhh” gridò Lola “Voglio andarmene, ora, subito! Voglio tornare a casa! voglio tornare al mio pollaio!”.
Lola girava su se stessa come una trottola e frignava.
“Troppo tardi” gridò Agata “Siamo arrivate. Ecco il Comune!”.
Diciamo che non fu facile per un’oca e una gallina passare inosservate dentro al Municipio: strisciarono lungo le pareti dei corridoi, saltarono nell’ascensore e, inforcati un paio di occhiali neri per non farsi riconoscere, passarono con aria indifferente davanti agli uscieri.
Alla fine arrivarono nell’ufficio del Sindaco.
Ma il Sindaco non c’era.
Sulla sua poltrona spadroneggiava un gatto persiano grigio perla.
Sonnecchiava sornione.
Lola e Agata si guardarono deluse e stavano, quatte quatte, per andarsene quando: “Che cosa volete?” sibilò il gatto.
Si era alzato sulla scrivania.
Era enorme e faceva molta impressione.
“Beh, ecco –balbettò Lola– stavamo to-to-togliendo il disturbo. Sa, lei do-do-dormiva e allora non volevamo certo sve-sve-svegliarla”.
Il gatto balzò a terra.
“Allora? –miagolò imperioso– ho fatto una domanda” e con un lungo sospiro aggiunse “… belle piume… ” accarezzando le ali di Lola.
“Lasciala stare” urlò Agata nascondendo l’oca dietro di sé e continuò affannata: “Cerchiamo il Sindaco”.
“Non c’è” disse il gatto. “Lo vedo da me, bestiaccia” ribatté la gallina avvicinandosi alla porta.
“Posso aiutarvi?” chiese più dolcemente il gatto.
Agata si fermò. Ci pensò su un minuto, poi disse: “Beh, siamo arrivate fin qui, perché non spifferare tutto?”.
Agata e Lola passarono quasi un’ora con quel gattaccio, che poi tanto cattivo non era.
Anzi, semmai era noioso.
Il persiano le trattenne a lungo con un sermone sui diritti degli animali, sul rispetto della loro dignità e sulla loro importanza per gli uomini. E così e cosà, chiacchierò e chiacchierò, fin quando dalla sua bocca baffuta uscì la parola: SCIOPERO.
“Sciopero? Ma è una cosa da essere umani!” sbottò Marta. “È un’assurdità”.
Tutti gli animali della fattoria erano di nuovo riuniti sull’aia ad ascoltare il resoconto di Agata e Lola.
Amilcare seguiva con attenzione il racconto.
Dalia era intenta a scusarsi per il ritardo dovuto ai suoi piccolini che le danno sempre un gran da fare.
Lucy ridacchiava per la stupida proposta di quella sciocca gallina.
“Beh, in effetti –commentò Lola guardando interrogativa Agata– è roba da uomini. Forse però…” e lasciò la frase a mezz’aria perché non voleva offendere la sua amica.
Troppo tardi, però, perché Agata si era già arrabbiata e stava per mandare tutti a quel paese quando Amilcare chiese: “Ma come lo possiamo fare questo sciopero?”.
E Agata, un po’ rincuorata: “Scioperare vuol dire non fare il proprio lavoro per protesta”.
“E che lavoro facciamo?” ghignò Lucy.
“Che domande! Tutto quello che facciamo in questa fattoria è lavoro”.
“Vuoi dire –commentò Lola– che anche tenere pulite le mie piume è un lavoro? Ma se non lo faccio non sarò più un’oca”.
“È proprio questo il punto, mia cara –sottolineò entusiasta Agata– dobbiamo smettere di essere noi stessi, non dobbiamo fare più gli animali”.
“E che facciamo? –muggì Marta– gli uomini?”.
“Per l’appunto” concluse Agata.
Se foste passati di lì, qualche giorno dopo la riunione, non avreste più riconosciuto la fattoria. Non c’era una sola cosa al suo posto: era in atto una vera rivoluzione.
Ad ogni angolo c’erano gruppetti che chiacchieravano sfaccendati e l’unica cosa che si sentiva ripetere era: “Gli uomini vogliono cacciarci dalla fattoria? Allora che facciano loro il lavoro degli animali. Vogliamo proprio vedere come se la cavano”.
Così c’era Amilcare che fumava la pipa seduto sull’aia mentre i maialetti, puliti e ben profumati, leggevano le favole ai pulcini.
Dalia giocava a bridge con le amiche, dopo aver passato tutto il pomeriggio dal piumacchiere per farsi riccia.
Lola passeggiava per la fattoria sfoggiando un paio di jeans nuovi di zecca.
Cinetto e Pollice cercavano di insegnare a Marta ad andare in bicicletta.
Insomma, nessuno lavorava, tutti erano in sciopero.
Sulla soglia di casa, Lucy, accanto al suo padrone, osservava disgustata tutto quello che accadeva.
La voce dello sciopero degli animali si sparse rapidamente da un capo all’altro della provincia.
Così anche gli animali delle altre fattorie vennero a sapere quello stava succedendo. Alcuni addirittura fecero i bagagli e raggiunsero i compagni in lotta per solidarizzare con loro.
Alla fine la faccenda sfuggì al controllo di tutti; alla fattoria si dava ospitalità a tutti ma si incominciava a stare un po’ stretti.
Per ammazzare il tempo si organizzarono tornei di tennis, calcetto e pallacanestro.
Le signore, invece, preferivano l’aerobica e, tra una lezione e l’altra, chiacchieravano di moda e bellezza.
La voce dello sciopero arrivò anche in città: furono tanti gli animali che lasciarono i loro caldi appartamenti per andare a vedere cosa stesse accadendo in quella fattoria.
Il primo a partire fu proprio il gatto del Sindaco.
Chiunque arrivava, poi, si trovava talmente a proprio agio e stava così bene che finiva per non tornare più a casa.
Ben presto però anche i bambini presero a seguire i loro animali. Così, sulla statale in direzione della fattoria, c’era una lunga fila di cani, gatti, canarini, criceti e ragazzini.
Il primo bambino ad arrivare fu Giacomino con il suo cane Gertrude. Quando gli animali lo videro, andarono in confusione: cosa sarebbe successo adesso che c’era anche un bambino?
Ma Giacomino fece subito amicizia con tutti.
Così gli animali si tranquillizzarono e non si crucciarono quando, appresso a Giacomino, arrivarono Pino, Marco, Rossella, Francesca, Antonella e Bettina.
E ancora Luca, Vincenzino e Vittoria.
Ci fu una specie di passaparola, un bambino chiamò l’altro e in pochi giorni divennero più di cento.
E fu allora che le mamme, indiavolate perché i loro figli non volevano tornare a casa, andarono dal Sindaco.
Il Sindaco parcheggiò il suo macchinone nero davanti alla fattoria. Scese e, seguito da un codazzo di assistenti, entrò nell’aia per verificare cosa stesse succedendo.
Rimase a bocca aperta.
Incominciò a urlare, a pestare i piedi.
Ordinò ai suoi assistenti di arrestare tutti quegli animali indisciplinati.
I segretari provarono a mettere le mani su galline, pulcini, mucche e quant’altro, ma finirono a terra con le gambe all’aria.
Gli animali erano più veloci e i bambini avevano preparato un sacco di trappole.
Per questo motivo nessuno diede più retta al Sindaco.
Allora il Primo Cittadino si rivolse al fattore che, per tutta risposta, raccolse le sue cose e, assieme alla moglie e a Lucy, abbandonò la casa.
Al Sindaco però non piaceva perdere.
Sforzò così il suo cervello per trovare una soluzione vantaggiosa.
Si fece portare i progetti dell’autostrada.
Ci studiò su una notte e un giorno e alla fine trovò quello che cercava: armato di matita e compasso segnò agli ingegneri una deviazione qui, una lì e spostò di 10 chilometri l’autostrada
Non sarebbe più passata per la fattoria.
I progettisti si guardarono stupiti ma obbedirono.
“Siamo salvi” esultò Lola quando seppe della notizia.
E Agata aggiunse “Sì, la fattoria è nostra! Sarà 'La fattoria degli animali', un meraviglioso parco dei divertimenti per i bambini di città..."
Niente male no?
Così finisce il racconto dello sciopero più strano che si sia mai visto.
Mandatemi i vostri disegni e, se il sito vi piace, fate un "passa-parola" con i vostri amici.
Ciao Enza Emira
Quasi quasi faccio un figlio anch'io così poi gli racconto le tue fiabe.
RispondiEliminaScusa, volevo dire favole
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