Il signor Sotto Sotto (e la verità che ne deriva) - Capitolo VIII


In questo ottavo capitolo, ancora una volta la verità non è come Ciro se la aspetta. Riuscirà a capire cosa passa nel cervello e nel cuore del Signor Sotto Sotto?
Buona lettura.
Enza Emira


8. La bambina

Ci aveva pensato a lungo, per tutta la notte. S’era rigirato nel letto con quel caldo che solo le lenzuola  sanno dare quando c’è una decisione importante da prendere. Il cuscino poi sembrava di fuoco e solo quando il sole aveva iniziato a fare capolino tra le stecche  della persiana s’era risolto a buttarlo a terra e a poggiare la testa direttamente sul materasso. Fu allora che si convinse che fosse l’unica cosa da fare: avrebbe parlato con la signora dell’interno tre, quella con la gonna gialla. Perché in ballo non c’era una storia d’amore come aveva pensato in un primo momento ma qualcosa di più: una storia di famiglia e a quelle non si può certo restare indifferenti soprattutto quando di mezzo ci sono i nipoti.

Appena gli fu possibile uscì di casa e si sedette sui gradini del pianerottolo immediatamente superiore all’interno tre.

Restò lì appoggiato alla parete aspettando un segnale da quella porta chiusa quasi sigillata. Dopo un'ora di appostamento si risolse a scendere giù in cerca di ispirazione. Incrociò la portinaia che spazzava l’atrio.

La prese alla larga.
“Signora, ma ditemi ci sono altri bambini qui?”.
Gli sembrava una domanda vaga che poteva fornirgli invece qualche notizia.
La donna imbronciata per chissà quali suoi problemi rispose con un secco “no”.
Ma non gli poteva bastare.
“In nessun appartamento, a nessun pianerottolo, neppure sull’attico?”.
La portinaia si ravviò i capelli che le cadevano davanti agli occhi e scosse la testa mentre raccoglieva l’immondizia nella paletta.
“Sul serio?”.
La donna si spazientì: “Ti ho detto no! Ed ora va',  che debbo finire il mio lavoro”.

Ciro risalì le scale e tornò a posizionarsi sul gradino con la porta dell’interno tre in vista. La chiave girò nella toppa lenta con due mandate. La porta si aprì e ne uscì la donna dalla gonna gialla.
Era bella ed elegantemente vestita. Il suo profumo si spandeva per tutto il pianerottolo. Sapeva di agrumi, di bergamotto.
Ciro lo riconobbe subito: l’albero era all’ingresso del giardino della nonna e faceva frutti grossi e odorosi che  nonna gli spremeva nell’acqua del bagno: “Perché così non puzzi più” gli ripeteva spingendolo nell’acqua calda e un po’ oleosa.

Ciro, dicevamo, scese precipitosamente i gradini finendo per inciampare e cadere ai suoi piedi.

“Ti sei fatto male?” gli chiese con un tono dolce.

Ciro si sentì seccare la gola incrociando i suoi occhi scuri. Erano identici a quelli del signor Sotto Sotto proprio come le dita dei suoi piedi con quelle della nonna.

“Forza, ti aiuto” continuò la signora dalla gonna gialla prendendolo per un braccio e sollevandolo da terra.

“Ma che ci facevi lì?” chiese ancora.

Ciro inarcò le sopracciglia: “Aspettavo vostra figlia”.

La donna prima si stupì e poi incominciò a ridere.

“Che c’è da ridere? Io vorrei parlarle, sì insomma, parlarle di suo nonno, quello sulla panchina” replicò il ragazzo un po’imbronciato: gli sembrava di aver detto troppo e questo lo infastidiva.

"Beh, non mi interessa”.
“Perché?”.

Rise ancora.

“Perché non vi interessa?” insistette il ragazzo.

“Perché qui non vive nessuna nipote del vecchio che sta sulla panchina, capito? Nessuna nipote…”. E scandì queste ultime parole con una secchezza di tono che gelo il cuore di Ciro come uno stiletto di ghiaccio.

Si sentì uno stupido.
Pensò subito ad un raggiro del vecchio.
Il signor Sotto Sotto era un tipo eccentrico e poteva avergli raccontato un mucchio di stupide bugie per farsi due risate alle sue spalle.

Si morse il labbro così forte che sentì il sapore del sangue sulla punta della lingua.
Corse via dispiaciuto.

Il signor Sotto Sotto anche quel pomeriggio era lì sulla panchina ma Ciro si guardava bene dallo svolgere la solita incombenza di innaffiare l'aiuola. Era troppo deluso e come quando litigava con la nonna dopo un aspro rimprovero si rintanava sotto all'oleandro assieme ad Attila accoccolato a lui, così s'era rinchiuso nella stanza, spalle alla finestra a contare, sistemare e ancora risistemare i soldatini di latta che un tempo erano appartenuti a suo padre e che ora conservava in una cesta sotto il letto. Erano gli unici giochi che gli era stato permesso portare durante il trasloco.
Era deluso, dicevamo, perché ora la verità che ne derivava, che tanto il vecchio della panchina gli aveva decantato, sembrava solo un inganno, una brutta fandonia, di quegli scherzi idioti che solo i grandi sanno fare approfittando dell'ingenuità dei ragazzi.

“Ciro”.
Lo chiamò la mamma.
Sbuffò se c'era una cosa che odiava era essere disturbato quando voleva stare per conto proprio.
Non rispose.
“Ciro - insistette la madre - guarda che c'è un tuo amico al citofono che ti cerca. Dice che avevate un appuntamento quaggiù sotto al palazzo”.

Il ragazzo si stupì e mugugnò qualcosa.
“Che dico?”.
Ciro uscì dalla sua stanza moggio.
“Beh - fece la mamma  - Sbrigati, non farlo aspettare. Mi fa piacere che tu abbia fatto amicizia con qualcuno”.

Sorrise.
Ciro ricambiò il sorriso a mezza bocca e scese giù incuriosito.
Ma davanti al portone ad aspettarlo non c'era altri che il signor Sotto Sotto.

“Allora, perché non sei venuto ad innaffiare? Un patto è un patto”.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e con passo furioso corse fino alla panchina, prese l'innaffiatoio e andò alla fontanella. Tornò dopo un minuto e diede da bere a tutte le piante. Poi sbatté il contenitore d'alluminio a terra e strillò un velenoso: “Ecco fatto”.

Il vecchio si stupì.
Inspirò forte l'ossigeno dalla cannula e lanciato a terra il bastone prese il suo giovane aiutante per le spalle.

“E che modi sono?”
 “Voi volevate solo prendermi in giro, e siete stato accontentato, ora potete pure ridere, ridere alle mie spalle”.
“Macché dici?” e  scrollò il ragazzo.
“Che la vostra nipotina non esiste, questo vi sto dicendo”.
“Esiste eccome”.
“No, me l'ha detto la donna dell'interno tre. Non c’è nessuna nipotina e me l’ha ripetuto a chiare lettere”.

Il vecchio arretrò barcollando.
Ciro, rapido, lo afferrò per il polso riuscendo ad evitargli di cadere. Lo fece sedere sulla panchina e gli recuperò il bastone. Poi gli si piazzò davanti a gambe divaricate con i pugni sui fianchi. Non intendeva certo bersi la scena del “mi sento male”.

Lo scrutò ma non proferì parola perché il signor Sotto Sotto aveva perso la sua espressione arcigna ed aveva gli occhi inumiditi dalle lacrime.
Si mortificò.
Forse era stato troppo duro?
Si sedette accanto all'uomo e presagli la mano incominciò ad accarezzarla proprio come faceva la sua nonna appena dopo un litigio.

“Va bene, vi perdono ma non fate così” disse Ciro con slancio cercando di contenere la sua commozione.
L'uomo si asciugò il naso con la manica della giacca.
“No, è solo che mi dispiace che mia nipote, mia nipote – e si fermò per un attimo fissandolo dritto negli occhi - ti abbia detto che non esiste più, almeno per me. Non me lo sarei mai aspettato. Non mi vuole parlare ma addirittura negare di essere mia nipote”.

Ciro si sentì smarrito e gli strinse forte la mano.
Un giorno aveva cacciato di casa Attila perché gli aveva rosicchiato le sue Nike nuove e il cane, per giorni, aveva conservato quell'espressione di disperazione che ora leggeva sul volto del signor Sotto Sotto.
Non era giusto che un uomo così vecchio soffrisse a quel modo.
Non era giusto.

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