Il signor Sotto Sotto (e la verità che ne deriva) - Capitolo VII


Con il settimo capitolo, Ciro scopre di avere qualcosa in comune con il signor Sotto Sotto.
Buona lettura.
Enza Emira


7. La fototessera

“Avete visto come è cresciuta?”.
Ciro cercava di far parlare il signor Sotto Sotto indicandogli l’azalea che ora aveva messo germogli nuovi. Il vecchio, seduto sulla panchina, annuì senza proferire parola.
Ormai erano giorni che non parlava. Non diceva nulla. Neanche per giocare a “guardo alle cose e alla verità che ne deriva”.
Il ragazzo, molto preoccupato, provò a coinvolgerlo ancora una volta: “Ieri ho riflettuto che la luna è un ammasso di silicio, alluminio, calcio e ferro e le nuvole sono gocce di mare senza sale e la carta fogli di tronco d’albero …”.
Il vecchio staccò una foglia di salvia dal cespuglio. la portò alla bocca e prese a masticarla.
Gli occhi erano assenti. Concentrati fissavano con espressione triste le finestre dell’interno tre.

Ciro sospirò.

“Lo sapevate che con la salvia ci fanno il dentifricio? Sbriciolato di salvia questo è quello che spalmiamo sullo spazzolino”.
Provò ancora a rapire l'attenzione del vecchio. Ma niente. Niente di niente.
Prese allora a guardare anche lui i vetri dell'interno tre.
Notò che la signora dalla gonna gialla stava facendo capolino. Un attimo e  tirò le tende.
Il vecchio scosse la testa. E infine parlò:
“E i nipoti sono un quarto del nostro dna” sbottò.

Ciro si stupì chiedendosi che intendesse dire.
“Mi sta spiegando che io ho dentro le mie cellule anche quelle di mia nonna?”.
L’uomo tossì e distolse lo sguardo dalle finestre: “Di sicuro, il problema è solo riconoscerlo”.

Ciro si sedette a terra appoggiando la schiena al platano e il profumo del rosmarino lo travolse.
Si mise a riflettere. Dunque, lui aveva le dita dei piedi identiche a quelle della nonna, se ne era accorto una volta che si erano messi tutti e due a piedi nudi dentro alla tinozza piena di acqua e spirito, l’unico modo per rilassare le piante dei piedi, sosteneva la nonna. Poi c’era l’osso del polso destro un po’ sporgente e un po’ grosso ed infine l’incisivo piccolo a forma di trapezio.

“Mi manca” scappò dalle labbra di Ciro.
“Anche a me” gli fece eco il vecchio inspirando l’ossigeno dalla sua cannula. Poi si ficcò la mano in tasca e ne tirò fuori una scatola di fiammiferi.
“E’ il mio tesoro, che poi sotto sotto è anche la mia vita passata e la mia speranza di futuro”.
Ciro prese la scatola  tra le mani e l’aprì. Dentro c’era una fototessera che ritraeva una donna con una bambina.
“E’ la mia nipotina, e mi manca un sacco”.

La bambina sorrideva mostrando i suoi denti piccolini e stringendo tra le mani la collana che portava al collo la donna che la teneva in braccio, di sicuro la mamma.
Ciro strizzò gli occhi: quella signora gli ricordava qualcosa, qualcuno.
“Sì, interno tre” disse il vecchio reclinando indietro il capo e scorrendo con gli occhi le foglie del platano lievemente mosse dal vento.

“E così ti manca la nonna” disse spostando il sacchetto che portava la bombola d’ossigeno, un chiaro invito a sedersi accanto a lui. Ciro sorrise e da terra passò sulla panchina iniziando a raccontare di un’aia invasa dal sole da cui si vede una striscia di mare.

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